“A chi troppo, a chi nulla: basta! Sistema bancario, finanza, economie criminali, beni confiscati e politiche redistributive”


Report laboratorio Costruire l’alternativa

Per costruire l’alternativa serve partire dalla lotta alle diseguaglianze sociali sul terreno dei rapporti di forza economici e finanziari a livello nazionale, europeo e globale. La crisi finanziaria del 2008 e le risposte che ad essa sono state date hanno fatto precisi vincitori e vinti, rivelando la natura violenta del conflitto di classe. E’ necessaria una narrazione differente che parta dalle condizioni materiali delle persone individuando chi tra le persone continua ad accumulare ricchezza e chi continua a perdere peso economico.

Nel 2015, secondo il Rapporto Oxfam, nel mondo 62 persone hanno accumulato la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone (la metà più povera della popolazione mondiale). Cinque anni fa le persone che avevano una ricchezza pari a quella del 50 per cento più povero della popolazione mondiale erano 388, nel 2014 erano 80. Le ricchezze di queste 62 persone sono cresciute del 44 per cento tra il 2010 e il 2015, arrivando a 1.760 miliardi di dollari. Oxfam Italia ha pubblicato un rapporto che riguarda nello specifico il nostro paese. I dati sulla distribuzione nazionale della ricchezza del 2015 mostrano come l’1 per cento degli italiani più ricchi abbiano il 23,4 per cento della ricchezza nazionale netta. L’aumento della ricchezza dal 2000 al 2015 non si è distribuito in modo equo: oltre la metà secondo Oxfam è andata al 10 per cento più ricco degli italiani.

La risposta alla crisi a livello globale ed europeo ha aumentato la forbice delle diseguaglianze restringendo l’orizzonte delle politiche fiscali secondo il paradigma dell’austerity e contro politiche redistributive del peso fiscale tra fasce più capienti e meno capienti. Nel nostro Paese si continuano a preferire forme di tassazione separata e proporzionale a misure progressive e più organiche improntate al principio della cosiddetta tassazione “comprehensive income”, cioè comprensiva di tutte le fonti di reddito. Non vi è dunque una chiara volontà di redistribuzione del peso fiscale a favore delle fasce di popolazione con redditi più esigui: si preferisce alleggerire il carico impositivo che grava sui redditi d’impresa piuttosto che quello sui redditi da lavoro; al contempo, si predilige la tassazione sui redditi rispetto a un’imposizione di tipo patrimoniale.

Per contrastare l’aumento della diseguaglianza è necessario operare in due direzioni: un intervento di redistribuzione della ricchezza attraverso la manovra fiscale e un piano di riforma del welfare che assuma come priorità il rafforzamento dei sistemi nazionali e dei servizi sociali e sanitari territoriali. Le città sono state teatro e vittima della crisi. Nelle città le persone testimoniano il disagio sociale e le amministrazioni, in ragione dei tagli statali, subiscono la crisi perché non sono in grado di attuare le loro politiche e, tra queste, le politiche progressiste. Nella discussione politica attuale è emerso che gli enti locali sono stati soggetti di spreco, proponendo la centralizzazione delle politiche anche locali. Su questo serve una contro-narrazione.

La lotta alle diseguaglianze passa allo stesso tempo per un ripensamento radicale del sistema e governo della finanza. Se la ricchezza si produce soprattutto con la finanza, la disponibilità di capitale, attraverso il moltiplicatore della finanza, aumenta la disuguaglianza e il reddito che viene distribuito con il lavoro si assottiglia. Il 2016 si apriva con la vicenda di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e CariChieti, che per molti risparmiatori ha significato pesanti perdite, rabbia, frustrazione. Non si fa in tempo a trovare una soluzione che esplode il caso delle due popolari venete, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E poi la delicatissima situazione di Monte dei Paschi di Siena, vera e propria miccia di una crisi potenzialmente devastante dell’intero sistema bancario italiano su cui il governo Renzi non ha fatto che soffiare, confidando in soluzioni di mercato del tutto evanescenti e rinviando ogni reale decisione fino al recente ultimatum della BCE. L’obiettivo del legislatore in Italia e in Europa dovrebbe identificarsi con la trasformazione della finanza da sistema della speculazione e controllo delle economie nazionali nelle mani di pochi investitori a strumento al servizio di uno sviluppo socialmente sostenibile. Non si dovrebbe ragionare soltanto su cosa fare in occasione della prossima crisi e su quali meccanismi di salvataggio mettere in campo, ma su come evitare che le crisi si manifestino con questa frequenza, mettendo in radicale discussione assunti e modelli di governo della finanza – basati sulla libera competizione di capitali e sulla finanziarizzazione dell’economia – che non sono cambiati dal 2008 ad oggi. In altre parole, non bastano regole e controlli per rendere il sistema bancario e finanziario più solido e resiliente, ma serve ancor più profondamente un ripensamento del ruolo, dimensione e attività delle banche e servizi finanziari in rapporto ai bisogni della società e alla riconquista di una democrazia economica. Bisogna quindi riavvicinare le banche ad un interesse pubblico.

Al livello europeo, senza una modifica della mission della BCE non si possono risolvere i problemi di fondo. Bisognerebbe quindi modificare lo statuto della BCE inserendo tra i suoi obiettivi la piena occupazione. Allo stesso tempo sono necessarie riforme profonde per contrastare una finanzia rizzazione dell’economia che non è stata intaccata dal 2008 ad oggi, in particolare per quel che riguarda i derivati, i fondi speculativi e il sistema bancario ombra. Dopo la crisi il neoliberismo non è rimasto tale quale a prima: è cambiato e si è adattato in una nuova forma tale da non pregiudicarne le basi. Nuove regole sono state introdotte a livello europeo: ma nessuna ha messo in discussione il processo di finanziarizzazione dell’economia e della società. C’è bisogno di un nuovo accordo, come quello concluso alla fine della seconda guerra mondiale. Se vogliamo salvare la pace nel mondo, bisogna fare un accordo che ridisegni i rapporti su scala multicentrica del valore e della forza delle varie monete. Una moneta che possa combattere uno dei perni centrali del capitalismo: la tesaurizzazione.

Se la fiscalità e finanza sono diventate dopo la crisi degli strumenti sempre più al servizio della disciplina di mercato e dell’intensificazione delle diseguaglianze, la lotta ai grandi evasori, ai paradisi fiscali off-shore e all’economia criminale è stata debole. L’evasione fiscale non riguarda solo i grandi evasori fiscali, ma è anche una condizione molto diffusa a livello nazionale, il che rende estremamente difficile contrastarla. Una proposta possibile per contrastarla è quella della ricomposizione della base imponibile; l’altra è immaginare un meccanismo premiale tra chi svolge e chi riceve la prestazione, unita a un’intensificazione dei controlli con l’utilizzo del sistema degli incroci. A livello di grandi patrimoni cambia il paradigma: il problema è l’articolazione produttiva di un’impresa in vari territori nazionali. Da una parte bisogna ricondurre a unità la multinazionale e stabilire la tassazione nel luogo in cui ci sia la governance dell’azienda. Dall’altra un contrasto ai paradisi fiscali non può che passare dalla cooperazione europea e internazionale che intervenga a monte innanzitutto sul controllo dei capitali e la rimessa in discussione della loro libera circolazione.

Per quanto riguarda l’economia criminale, la Corte dei Conti l’economia criminale pesa per 260 miliardi di euro a cui vanno aggiunti 60 miliardi di euro di corruzione. Nel Pil da qualche anno vengono calcolati anche i proventi dell’economia illegale per questo è necessario un nuovo indicatore per misurare il benessere del paese delle persone. I beni confiscati alle mafie rappresentano uno straordinario strumento di sviluppo dei territori in opposizione all’economia criminale. Per questa ragione sono necessarie misure di sistema ad hoc per agevolare il riutilizzo sociale dei beni confiscati.


Proposte dell’alternativa

  • Operare una ricomposizione della base imponibile dei contribuenti, facendovi rientrare tutte le fonti di reddito (cosiddetto “comprehensive income principle”), che attualmente sono escluse dalla tassazione personale;
  • affiancare alla tassazione dei redditi una tassazione di tipo patrimoniale con aliquote progressive;
  • reintrodurre un’adeguata tassazione su successioni e donazioni;
  • rimodulare in termini di progressività il sistema delle aliquote sui redditi delle persone fisiche;
  • contrastare il ricorso a pratiche di evasione ed elusione fiscale
  • introduzione di una vera Tassa sulle Transazioni Finanziarie
  • introduzione di una legge sulla separazione tra banche commerciali e di investimento
  • beni confiscati: sul Fondo Unico Giustizia (FUG) in cui confluiscono i beni mobili è necessario fare chiarezza, alcune stime parlano di circa 3 miliardi di euro: quante sono realmente? Come vengono gestite queste risorse? Come vogliamo utilizzarle?
  • una proposta sulla casa: istituzione di un fondo pubblico per l’acquisto (al ribasso) dei crediti in sofferenza nel sistema bancario collegati a garanzie immobiliari. Se l’immobile è abitato, lo Stato dovrebbe consentire dietro canone sociale all’abitante di rimanere, e se l’immobile è disabitato annetterlo invece a patrimonio pubblico.
  • Aumento della tassazione sulle case di lusso.

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