Quanto avvenuto in questi giorni in via Zamboni 36 riguarda l’intera città di Bologna. Ogni serio dibattito sulla soluzione degli evidenti problemi che affliggono la zona universitaria non può partire se non dalla ferma condanna dell’operato di questura e Università, per le cariche dentro la bilblioteca di lettere e la sua conseguente devastazione.
Come hanno detto in tanti, un reparto della celere in tenuta antisommossa dentro una biblioteca universitaria costituisce un inedito oltraggio al buon senso che non può essere giustificato, compreso o relativizzato.
Il tema della sicurezza è importante, lo è tanto per gli studenti e le studentesse, quanto per i lavoratori. Credere che i tornelli all’ingresso di una biblioteca universitaria siano la soluzione ci pare ingenuo e risibile, ma il punto principale del discorso non è questo.
Il punto vero è riconoscere la necessità di costruire uno spazio di discussione capace di ospitare i diversi punti di vista, senza comprimere l’articolazione di un discorso complessivo sul rapporto tra università e città.
Ubertini e Degli Esposti hanno agito in maniera scellerata non aprendo un canale di interlocuzione.
Perché hanno richiesto l’intervento della Questura all’interno di spazi universitari, decisione senza precedenti e di gravità inaudita, come osservato dalla stessa CGIL?
I vertici della città e dell’Università avrebbero dovuto aprire uno spazio di mediazione sociale invece di ostinarsi a prendere iniziative unilaterali.
La città sta subendo un’analoga incapacità ad aprire spazi di dialogo nella vicenda XM24.
L’immagine di un reparto della celere in una biblioteca università non è forse, indiscutibilmente, la fotografia di un grande fallimento?
Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati da un impoverimento, non solo materiale, del mondo studentesco, e da continue cesure tra università e città.
La situazione di Piazza Verdi ne è solo l’indicatore più evidente, ma altri segnali possono cogliersi ove si osservi il mercato degli affitti o le forme di compenso del lavoro “povero”, specie ai danni della popolazione studentesca.
Viene talvolta da dubitare che vi sia davvero un “governo” della città e dell’Università, mentre spesso si percepiscono, anche dolorosamente, approssimazione e improvvisazione.
È necessario fare quello che Università e Amministrazione comunale non hanno mai fatto.
È essenziale aprire uno spazio politico e discorsivo che manca: se chi ha responsabilità di governo non ne è capace o non ne avverte l’esigenza, è opportuno che se ne facciano carico altri attori, a partire dai corpi intermedi e dalle reti sociali che hanno a cuore il futuro della città, posto che la vivano e ne avvertano le contraddizioni e i conflitti latenti.
Chiediamo una città dei luoghi aperti e non chiusi dove l’insicurezza sia combattuta e non presa a pretesto per creare cesure tra i suoi cittadini.
Auspichiamo che, su tutto questo, si apra una discussione ampia e feconda, capace di rompere l’incomunicabilità che oggi regna sovrana, non ci pare che inneggiare a provvedimenti restrittivi della libertà personale o alla cancellazione dei murales o plaudire al nuovo “daspo urbano” sia il modo più saggio per fare passi avanti.

 

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