Superare le paure e il conformismo. Riflessioni di una mamma qualunque.
Di Silvia Pagnotta.

Se dovessimo mettere in fila i temi caldi che riguardano la vita di un adolescente ai giorni nostri verrebbe fuori un elenco più o meno così: dipendenza da telefonini e altri device. Bullismo. Pornografia on line. Sessismo di ritorno. Omofobia. Baby gang. Nuove droghe e cultura dello sballo. Depressione. Anoressia. Ansia da prestazione… Come genitore di una ragazza di 14 anni sono preoccupata, nel senso che mi tengo in allerta, perché alcune di queste cose fanno già parte della vita di mia figlia e di altre non sono sicura.

Quando i genitori di un adolescente a cui è successo o che ha fatto qualcosa di brutto vengono intervistati dalla tv, mi sembra di riconoscermi in loro: sono stupefatti, smarriti. Si capisce che fino ad un attimo prima erano assolutamente ignari della vita segreta dei loro figli.  E ogni volta mi colpisce il loro essere inermi di fronte alla complessità dei problemi, delle ansie che i loro figli si sono trovati a dover affrontare nel mondo di fuori. Fino ad un attimo prima ci sentiamo in grado di proteggerli, li teniamo al caldo, li nutriamo – possibilmente con cibo biologico – e li circondiamo di campi di allegre margherite. Un attimo dopo li lasciamo a casa da soli il pomeriggio, con tv e cellulare collegati ad internet.

Molto spesso noi genitori non sappiamo nemmeno qual è il ruolo effettivo che i nostri figli ricoprono all’interno dei gruppi di cui fanno parte: il bullo? la sfigata? E come se non bastasse i nostri ragazzi acquistano lo status di “veri” consumatori. Prima lo erano in modo solo mediato, ora la pubblicità si rivolge direttamente a loro proponendo consumi, stili di vita, modelli estetici e comportamentali.

A completare il quadro, cinema e letteratura mainstreaming sono pieni di storie di adolescenti che di fronte alle difficoltà reagiscono sfoderando poteri magici. Si scappa ogni volta in un mondo di fantasia. La televisione propina reality in cui le relazioni tra le persone e le emozioni sono artefatte e manipolate a fini di ascolto. Come percorso esistenziale viene rappresentato esclusivamente quello della dura lotta per il successo individuale a discapito degli altri… il sogno della vetta. In fin dei conti le ragazze e i ragazzi si abituano ad immedesimarsi solo con chi ce la fa e in questo schema è facile trovarsi spiazzati tra le migliaia che inevitabilmente restano indietro.
Intorno a loro, non più filtrato dai genitori, il mondo incombe ed è un mondo del quale è impossibile dare un’interpretazione rassicurante, anzi un’interpretazione qualunque. Gli viene detto, anche quando sono abbastanza fortunati da non farne esperienza diretta in famiglia, che manca il lavoro, che il futuro è precario, da ogni punto di vista. Prevale un senso diffuso di inutilità delle lotte collettive… il progetto di un’Europa dei popoli, che ha significato tanto per tante generazioni di studenti Erasmus, appare sull’orlo del collasso. Nessuna soluzione, nessuna risposta all’orizzonte.
Nonostante tutto, in questa fase i genitori dovrebbero rappresentare, ancora per qualche anno, la sponda alla quale i figli adolescenti si possono aggrappare quando hanno la sensazione di affondare, nell’esercizio delle loro prime libertà.

Ma quali strumenti abbiamo oggi noi adulti per poter ricoprire questo ruolo? Siamo in grado, da soli, di essere quella sponda?

Se penso a me, alla mia esperienza di genitore, la risposta è no. E credo anche che molti altri si trovino nella stessa condizione. A questa mia dichiarazione di insufficienza, di inadeguatezza rispetto all’arduo compito di educare alla vita mia figlia, nei primi anni della sua vita ho trovato una meravigliosa risposta: la scuola pubblica.
Il ruolo esercitato dalla sua maestra e dal suo maestro, dagli educatori e da tutto il personale della scuola, fin dalla primissima infanzia, è stato imprescindibile. La loro assunzione di responsabilità di fronte al compito di insegnarle la “relazione con l’altro”, è stata totale. Non tutti con la stessa intensità, questo è certo, ma al di la dell’attitudine dei singoli, è la stessa istituzione “scuola pubblica”, per come è stata pensata e descritta nella nostra Costituzione (e realizzata nel corso degli anni, attraverso la riflessione e la sperimentazione pedagogica) ad essere il luogo privilegiato per educare i bambini al principio di uguaglianza, al rispetto delle differenze, al bilanciamento tra le proprie istanze egoistiche e la necessità di apprendere e condividere con gli altri.
Penso che ancora oggi si possa affermare che i genitori sono accompagnati nel loro compito di educatori dalla scuola dell’infanzia e dalla scuola elementare, anche se questo avviene in modo sempre meno efficace di un tempo. Come al solito mancano risorse, ma manca anche la consapevolezza di quanto i tempi siano cambiati, di quanto sia aumentato il disagio sociale e familiare e di quanto sia diventato urgente affrontare il problema dell’eccessiva numerosità dei bambini dei quali una maestra o un educatore si devono occupare. Sembra impensabile, ma i cervelloni della “buona” riforma della scuola non hanno considerato affatto necessario riflettere sulla qualità del tempo che gli adulti passano con i bambini. Eppure sappiamo tutti che per creare relazioni vere e feconde occorre tempo, tempo di vita, da dedicare con cura a ogni singolo alunno.

Ma cosa succede quando i nostri figli passano dalle elementari alla scuola secondaria di primo grado – un tempo detta scuola media?

Di fronte all’incredibile complessità del momento esistenziale e storico in cui si trovano a vivere, di fronte al loro bisogno di sincerità e crudezza e all’incredibile energia che si ritrovano a dover gestire, la risposta della scuola, intesa come istituzione, come programmazione ministeriale e come diffusa strategia di sopravvivenza del corpo insegnante, è quella di adottare il più possibile misure per il “contenimento” fisico dei ragazzi e di schivare il più possibile qualunque argomento problematico. Inizia il regno dell’ipocrisia.
Insomma, la scuola media oggi fa quasi a gara nel tentativo di sottrarsi proprio agli argomenti che più stanno a cuore e hanno spazio nella vita degli adolescenti. Come per un tacito accordo fingiamo tutti di non vedere cosa accade intorno ai nostri ragazzi. Le uniche armi che pensiamo di avere a disposizione sono la repressione e il controllo: mandiamo cani poliziotto nelle aule , ma non chiediamo che venga fatta informazione sull’uso e sugli effetti delle nuove droghe in circolazione, spiamo e sequestriamo telefonini e computer atterriti all’idea di trovare foto compromettenti, ma non chiediamo che vengano fatti seri percorsi scolastici di educazione alla sessualità e all’affettività. Siamo preoccupati del bullismo, ma non ci interroghiamo a sufficienza sui modelli competitivi che la tv, la società e ora persino la scuola, con la scusa della meritocrazia, gli propinano.

Gli insegnanti si sentono autorizzati a parlare solo di cose per le quali esiste una risposta risolutrice e indolore. A raccontare solo eventi suggellati dalla storia, ad affrontare solo argomenti sui quali si è tutti d’accordo.

Noi genitori abbiamo fortemente contribuito a far si che tutto ciò si verificasse. Abbiamo accettato che la scuola diventasse un luogo neutro, da cui tenere lontani i problemi e la complessità della vita vera. Abbiamo preteso sicurezza e buoni voti (pezzi di carta), improvvisandoci esperti pedagogisti. Abbiamo dato la colpa agli insegnanti e alla scuola della fragilità dei nostri figli, senza pensare di dover lottare insieme agli insegnanti per metterli in condizione di poter sviluppare con i ragazzi e le ragazze un rapporto più vero, più profondo e privilegiato.

Abbiamo chiesto alla scuola di risolvere problemi più grandi di lei, accontentandoci dei piccoli escamotage proposti dai governi che si sono succeduti: più inglese, più computer, due mani di vernice sui muri, il registro elettronico, lo stage o il progetto sponsorizzato dalla grande azienda… . Ma nessun nuovo strumento informatico potrà mai sostituirsi al tempo di vita che occorre per creare relazioni vere e feconde con gli studenti. I nostri ragazzi vivono ad un’altra velocità, manca in tutto ciò che li circonda il tempo della riflessione. Questo tempo va cercato, lo dobbiamo cercare noi e dobbiamo fare in modo che la scuola sia il luogo della riflessione, non uno zapping tra nozioni e argomenti da verificare mediante test a crocette che nulla dicono sulla capacità di affacciarsi al mondo senza avere troppa paura, con un piccolo bagaglio di strumenti e di conoscenze e con ancora la voglia di apprendere e magari la pazza idea di poter cambiare le cose.
Se non ci prenderemo, a costo di sbagliare e di urtare qualche sensibilità, il rischio di inventare qualcosa di radicalmente nuovo per la scuola dei nostri figli adolescenti, sarà come averli abbandonati. A prendersene cura ci saranno altri maestri, la televisione, la rete, la pubblicità, questi si, seriamente interessati a loro.

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