E… STATE A SCUOLA…

By 14 Maggio 2016notizie

topoestate

Scuole aperte in estate, asili di notte, maestre volontarie e comandate… parola alle famiglie e uso politico delle famiglie per sorvolare sul peggioramento delle condizioni di lavoro. Senza aver la pretesa di essere esaustivo, e consapevole che non è possibile passare un’estate al mare, mi sento di cominciare da alcuni punti fermi.

In tutta Europa il calendario prevede dai 198 ai 210 giorni di scuola (205 in Italia) distribuito diversamente a seconda delle aree geografiche e climatiche (ormai si arrendono perfino i giornalisti e trascrivono questa notizia nella novantaduesima riga in basso, lasciando al “didascalista” errori ed omissioni). Quindi di scuola, che non è servizio alla persona ma diritto e dovere, ce n’è abbastanza e quella parte del tempo di lavoro dei docenti dedicato alle lezioni e alle attività con le alunni e alunni è analogo in tutta Europa. Ogni anno tocca ripetere la stessa cosa, ma va bene lo stesso.  Va detto che questa volta, anche nella petizione “scuole aperte in giugno” il problema viene posto in termini meno superficiali anche se la sua narrazione affonda poi nelle solite approssimazioni liquidatorie o nella neolingua renziana della giunta di Bologna che chiama “internalizzazione dei servizi” l’aumento del tempo di insegnanti, educatrici ed educatori, che giustamente si oppongono

Esiste, questo va riconosciuto, una richiesta di molte famiglie di uno “spazio educativo” di qualità che tenga conto delle loro esigenze lavorative ma anche delle loro risorse economiche,  ma a questa richiesta non si può far fronte dilatando o cambiando il lavoro del personale insegnante, come accade a Bologna con questa amministrazione, ma riconoscendo e qualificando il lavoro educativo di chi già oggi, in condizioni di sfruttamento e di precarietà, svolge una funzione di prezioso accompagnamento dell’infanzia e dell’adolescenza dentro e fuori gli ambiti strettamente scolastici, completando, arricchendo e in qualche caso perfino surrogando, nel tempo e nello spazio, le attività scolastiche, come ci hanno raccontato in questi anni tante e tanti educatori “stagionali” o stabilmente… precari nel lavoro anche quando non lo erano nel contratto. La stabilità, la continuità del loro lavoro non è solo questione “di categoria”, ma è questione educativa.

Solo partendo da queste premesse possiamo riconoscere e valorizzare gli spazi scolastici, che certamente sono preziosi ed è bello pensare che non rimangano deserti e silenziosi ma aperti a giovani e adulti.

Solo partendo da queste premesse possiamo ragionare seriamente sulla scuole aperte “oltre la scuola” come momento di incontro, di arricchimento delle relazioni, di scoperta, di apprendimento e di crescita, non solo di prolungamento, di intrattenimento o parcheggio (a seconda del portafoglio di famiglia) per le nostre figli e figli, e non certo come luoghi di sfruttamento di chi lavora in condizioni di precarietà e miseria.

Al tempo stesso possiamo e dobbiamo valorizzare la generosità del lavoro “militante” e volontario (pensiamo alla straordinaria esperienza delle scuole di italiano per adulti migranti) quando non sia però la copertura di servizi dovuti e di lavoro non retribuito. Possiamo, e dobbiamo, anche pensare che non tutto è istituzionalizzabile e che quindi vadano incoraggiate anche le pratiche di vita e di condivisione del tempo regalato all’infanzia e all’adolescenza da comunità solidali negli  spazi autogestiti, nelle pratiche di mutuo aiuto, nelle relazioni calde “di strada” che riportino l’infanzia e l’adolescenza a relazionarsi con tutte le generazioni, con la vita reale e non con le narrazioni tossiche che la presentano come motivo di angoscia invece che l’infinita speranza di questo mondo.

Infine, ma non certo per ultimo, esiste un problema di risorse, di investimento sul lavoro e sulla formazione, sulle strutture, certo, ed è per questo che non posso non pensare, proprio nei giorni in cui vengo a sapere che non tutte le bambini e i bambini sono certi di avere un posto nella scuola dell’infanzia, che si può partire da un piccolo salvadanaio: 5 (cinque) milioni che la giunta PD, se rieletta,  nei cinque anni del prossimo mandato riconsegnerà alle scuole private nel disprezzo reiterato del referendum del 2013. Se invece sceglieremo un altro sindaco e un altra amministrazione, siamo sicuri che avremo un piccolo portafoglio da aprire per accogliere, integrare, sperimentare. Come ha detto Federico Martelloni, candidato sindaco per Coalizione Civica, il primo segnale di cambiamento sarà l’applicazione del referendum consultivo. I soldi non sono tutto e non sono abbastanza, ma “i soldi del referendum” non andranno nel portafoglio sbagliato, anche perché tante persone che di educazione vivono e all’educazione dedicato tempo e passione, hanno dimostrato che sanno moltiplicare il poco che hanno. E se con i pani e i pesci arrivano anche 5 milioni in più siamo certi che saranno ben spesi.

 

 

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