«Una pizza non vale il rischio: mai più consegne senza diritti». Un paio di mesi fa era stata la volta di Milano, con la biciclettata sotto il sole di una lunga estate calda.
A Bologna è stata, invece, la neve ad incorniciare la protesta dei rider, i quali hanno appeso le bici al gancio per accendere i riflettori sulle condizioni di lavoro vissute sulle principali piattaforme che operano nel delivery food. È nata, così, all’ombra delle due torri, La «Riders Union Bologna», con l’obiettivo di rivendicare vecchi e nuovi diritti dei lavoratori del mondo del pasto a domicilio, a partire dalla tutela della salute e sicurezza: « Di fronte alla chiamata al servizio di Deliveroo, Sgam e JustEat – affermano i Rider – ci siamo rifiutati di lavorare a causa delle condizioni che rendevano molto pericoloso andare in strada. Considerate che la metà di noi lavora in bici e l’altra in motorino: abbiamo contratti di collaborazione, in alcuni casi con tariffari fissi, in altri a cottimo, e in altri misti per un totale di 800-900 euro al mese. Il servizio è quindi stato sospeso a pranzo, nel bel mezzo della nevicata; più tardi, quando i gestori dei siti hanno provato a farci lavorare per cena, ci siamo astenuti ulteriormente»
Così, anche Bologna, ci siamo accorti di avere un problema con il lavoro povero che corre per le strade della città, visto che anche Bologna costituisce una piattaforma materiale sulla quale poggiano le ruote degli operatori di diverse piattaforme virtuali: Deliveroo, JustEat e Sgnam.
Ma di cosa parlano i rider quando denunciano forme contrattuali inadeguate a corrispondere alla effettiva condizione di lavoro e tutelarli in modo appropriato?
Deliveroo – La piattaforma inglese è attiva in Italia dal novembre 2015 attraverso la Deliveroo Italy s.r.l. In Italia, dopo lo sbarco a Milano e Roma, l’azienda è operativa in diverse città del centro nord, inclusa Bologna, con un costo fisso per il cliente pari a 2,50 Euro a consegna (con 2 Euro di sovrapprezzo per ordini di modico valore). Deliveroo impiega i rider con contratto di collaborazione occasionale (c.d. ritenuta d’acconto) e corrisponde al lavoratore la somma di 7 euro lordi «per ora di lavoro», più un piccolo bonus a cottimo pari a 1,50 Euro lordi a consegna. L’aver optato per un sistema di compenso orario, mentre altre piattaforme passavano al cottimo, ha permesso a Deliveroo di presentarsi come la piattaforma “buona” se confrontata con Foodora, ma le criticità sono molteplici, a partire dalla mancanza delle assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali.
JustEat – Fondata in Danimarca nel 2000 e quotata dal 2014 allo Stock Exchange di Londra, JustEat è attiva in 18 paesi su quattro continenti e opera in Italia già dal 2011, dove serve oltre cinquecento comuni, con un costo di consegna variabile, spesso posto a carico esclusivo del ristoratore.
Come ricorda Giovata Cavallini, autore di un’inchiesta condotta sul territorio milanese, le attività di consegna tramite l’app JustEat venivano svolte, fino a qualche tempo fa, da collaboratori assunti da un’altra società, la Food Pony s.r.l., con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con un compenso di 6,50 Euro «per ogni ora di attività», oltre a diversi bonus variabili. Oggi, al contrario, almeno sul territorio di Bologna, la forma contrattuale prevalente è il contratto di collaborazione occasionale, con o senza partita IVA.
Sono essenzialmente due le forme contrattuali utilizzate dalle piattaforme: la co.co.co. per i rapporti più risalenti e la collaborazione autonoma occasionale, con o senza partita IVA.
In un caso e nell’altro si tratta di rapporti giuridicamente qualificabili come rapporti di lavoro autonomo, sprovvisti dei diritti e delle tutele connesse al lavoro subordinato.
Ciononostante, i rider riferiscono di modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che presentano i requisiti tipici della subordinazione, come attesta la sussistenza dei relativi indici (inserimento organico nell’altrui organizzazione, continuatività della prestazione, coordinamento spazio-temporale della medesima, versamento periodico del corrispettivo, mancanza di rischio economico, mancanza di una seppur minima organizzazione imprenditoriale, mancanza di rapporto diretto con il mercato ecc.).
Non per caso, la qualificazione del rapporto dei lavoratori delle piattaforme è oggetto di un filone di contenzioso particolarmente ricco, che riguarda diversi paesi del mondo: nel Regno unito si segnalano le cause che il sindacato IWGB ha intentato per conto di vari lavoratori che operano come fattorini. Ci sono stati alcuni tentativi in Francia per servizi simili a taxi e per Uber (controversie promosse dall’Urssaf dell’Ile de France). Contro Uber pende poi una causa avanti alla Corte di Giustizia UE. Questa dovrà decidere se Uber sia da considerarsi un’azienda di trasporti o – come asserito dalla società – un mero servizio digitale. Uber sostiene di essere un mero servizio digitale anche nelle sue cause relative ai rapporti di lavoro.
Al netto del complesso tema attinente alla qualificazione del rapporto di lavoro, grazie alla mobilitazione dei rider è finalmente emerso agli onori della cronaca un tema che ha a che fare con le condizioni di lavoro nella city of food: le strade della città sono, infatti, percorse da lavoratori sprovvisti dei più elementari diritti, a partite dalla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, il che interroga, nel profondo, la rappresentanza sociale e politica della città.
Ne discuteremo a fondo, insieme ai rider e a tutti coloro che sono interessati, in un workshop tematico programmato per la mattina del 26 novembre, nell’ambito della giornata di discussione indetta da Coalizione civica per Bologna

Federico Martelloni

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