LA TERRA E’ IL PARADISO, L’INFERNO E’ NON ACCORGERSENE*

By 23 Luglio 2015Gennaio 8th, 2016Piergiorgio Rocchi

Territorio: stop al consumo di suolo.

E’ considerazione già ampiamente condivisa che il suolo sia una risorsa vitale, finita e non rinnovabile. Eppure i dati ci dicono che l’uso di suolo, a fini di urbanizzazione, è aumentato fino a raggiungere un ritmo più di due volte superiore al tasso di crescita demografica.
Che la situazione sia grave e non da ieri, lo dimostra il fatto che la Commissione Europea si è impegnata, fin dal 2006, per favorire un uso più sostenibile del territorio e del suolo, fissando il traguardo di un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere entro il 2050.
Il consumo di suolo è un fenomeno complesso che comprende non solo l’impermeabilizzazione in sè (cemento, asfalto, etc), ma più in generale l’organizzazione spaziale del sistema territoriale e le sue dinamiche di trasformazione: concerne i problemi più complessi della dispersione insediativa e della frammentazione territoriale fino a comprendere anche fenomeni socio culturali che si sostanziano in atteggiamenti che attribuiscono poco o nessun valore all’ambiente, all’agricoltura, e alla non riproducibilità del suolo.
Di chi le responsabilità? I piani urbanistici (PRG, etc) hanno inserito previsioni (sia residenziali che produttive), spesso largamente sovradimensionate e oggi non più giustificate neanche rispetto alle attuali tendenze di mercato. Attenzione: non si vuole qui dire che la responsabilità sia solo della disciplina urbanistica.

Si può però affermare che dove c’è cattiva politica c’è cattiva urbanistica.
Fondamentale diventa quindi un approccio di pianificazione territoriale e urbanistica in grado di mettere in campo politiche di uso sostenibile del territorio coerenti con l’organizzazione spaziale del sistema territoriale e delle sue dinamiche di trasformazione e capaci di promuovere una vera politica di rigenerazione urbana e una diversa attenzione al rapporto fra spazio rurale e spazio urbano, slegate dalle risposte ai diktat di lobbies che sulla rendita hanno fatto la fortuna di pochi a discapito dei legittimi interessi (e diritti), di molti.
In sostanza non ci si deve più solo chiedere “quanto” suolo è possibile consumare, ma si deve fare una attenta valutazione anche del “dove”, ovvero di quali suoli e per quali funzioni è possibile consumare, nonché del “come”, quali principi e priorità debbano essere adottati nelle scelte tra i possibili e conflittuali utilizzi del territorio.

E’ indubbio che sul consumo di suolo si sia detto, scritto e letto una cospicua mole di contributi. E’ uno dei fenomeni più indagati di questo inizio di millennio. Questo è stato un fatto positivo, bisogna però e a maggior ragione in una prospettiva di cambiamento radicale delle politiche territoriali, capire e proporre che cosa fare per fermarlo.
Per attivare una reale politica sullo stop al consumo di suolo e incentivare la rigenerazione dei tessuti consolidati è prioritario che la nuova Città metropolitana attivi una verifica delle previsioni dei piani urbanistici comunali e progetti una loro riduzione nell’ambito delle sue competenze in materia di pianificazione generale.
Diversamente la riduzione della pianificazione territoriale ed urbanistica a contenitore, ben fatto e accattivante, di un puzzle di interessi, a scelte parziali e scoordinate, apparentemente giustificate (in larga parte), da una sorta di regola del do ut des, continuerà a produrre situazioni di degrado territoriale e alla lunga, sociale.

Il piano urbanistico è un’attività politica tecnicamente assistita

Perché la Città Metropolitana sia in grado di agire efficacemente, anche esercitando funzioni di indirizzo e coordinamento sui comuni che ne fanno parte, sul tema della riduzione e dello stop al consumo (spreco) di suolo occorre in primo luogo che si muova un altro soggetto istituzionale: la Regione Emilia-Romagna. Occorre che si muova e in fretta (esiste una proposta di legge sul consumo di suolo ferma da tempo e già si parla di un’altra proposta più consona alle vedute del nuovo assessore), per creare i necessari strumenti legislativi e non specifici provvedimenti sul tema, ma complessivi sul governo del territorio, anche modificando lo Statuto regionale, scrivendo a chiare lettere che il suolo agricolo non si tocca, (lo stesso Statuto della Città Metropolitana non parla chiaramente di stop al consumo di suolo ma introduce divagazioni sul tema della perequazione/compensazione); in buona sostanza occorre riscrivere la legge urbanistica regionale, peraltro già ampiamente modificata in peggio negli ultimi anni.
Occorre anche a questo punto dire che probabilmente le leggi ci sono già (la stessa legge urbanistica regionale, la 20 del 2000, dava buoni strumenti in tal senso), ma sono state male applicate e spesso interpretate in modo discrezionale dai vari attori istituzionali interessati.
Non si può più aspettare: ogni atteggiamento dilatorio è un favore fatto alla rendita e cioè senza mezzi termini al saccheggio del territorio, anche qui da noi. Le previsioni insediative dei ‘nuovi’ e virtuosi piani ex lege 20/2000, prevedono nei prossimi anni per la ex provincia di Bologna decine di migliaia di nuovi alloggi. Il che significherebbe altre centinaia di ettari di suolo sprecato.
Lo stop o comunque una ragionata e cospicua riduzione del consumo (spreco) di suolo sono la condizione di partenza per affrontare molti altri temi territoriali tra di loro necessariamente interdipendenti. La rigenerazione urbana (senza nascondersi le grandi difficoltà), l’adeguamento ai mutamenti climatici, i “costi” e i criteri per la ‘revisione’ della città esistente (anche verso la sostenibilità ambientale, il risparmio energetico, il rischio sismico).
Sullo sfondo rimane il tema, gradualmente andato fuori moda ma da rilanciare con forza, della ‘città pubblica’ e del rilevante interesse pubblico nelle operazioni d’intervento sul territorio.
Le ultime considerazioni aprono ad una sfida epocale: il governo della complessità, un’amministrazione metropolitana può misurarsi con le grandi problematiche citate se oltre a dimostrare qualità progettuale e respiro politico riesce anche a creare il più largo coinvolgimento dei cittadini, delle forze economiche sane e dei gruppi sociali, se cioè riesce a dare il giusto peso alla Partecipazione, non più vista come mera acquisizione di consenso, ma come parte integrante del progettare il futuro della propria città. Occorre ideare e gestire un progetto per la città metropolitana. Ecco la complessità.
I grandi temi citati si possono, in fin dei conti, insieme ad altri, anche declinare come diritti: diritto ad equo rapporto tra città costruita e spazi non urbani, diritto ad un ambiente sano e accogliente, diritto a muoversi in modo efficace e sostenibile, diritto ad una città sicura, diritto ad abitare, diritto a partecipare. Demagogia? No: obiettivi perseguibili e raggiungibili se l’interesse di pochi diventa buona qualità della vita per tutti.

di Piergiorgio Rocchi

*nota: il titolo è una citazione da Jorge Luis Borges

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