Nei giorni scorsi un appello ed una intervista sul magazine online Zero.eu ha fatto parlare di sè. Nell’articolo Stefano Cimato, conosciuto ai più come Steno già frontman del gruppo punk Nabat, denunciava la situazione critica della realtà di cui è presidente nel nostro quartiere: il vecchio Son. Si tratta di un centro culturale che gestisce alcuni spazi vicino al centro Zonarelli dove sono allestite alcune sale per corsi di danza, musica ed uno studio di registrazione. Oggi questa realtà è a rischio perché oltre alle difficoltà imposte dalle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria in corso, si è unita anche una situazione debitoria insostenibile di oltre 70.000 Euro chiesti dal comune. L’appello, che facciamo nostro, è che le istituzioni si facciano carico del problema per evitare che, soprattutto in questi tempi di pandemia che sta già mostrando i suoi risvolti sociali, venga meno un punto di aggregazione giovanile e coesione sociale in un territorio fragile come è il nostro quartiere. E che il vecchio Son stia svolgendo questa funzione è sua la storia a dimostrarlo.

Dalla fine degli anni 90 quando dalle sale prova del Casalone e Cavalazzi è nata l’idea di un progetto con “l’obiettivo di dare la possibilità a tutti di accedere alle attività proposte, attraverso l’adozione di tariffe popolari”. Questo progetto ha poi trovato posto all’inizio degli anni zero nel boschetto tra via Vezza e via Sacco in uno stabile che però, come affermano al vecchio Son, fu dato non ultimato. Nel 2005 arriva la prima convenzione, ma anche i primi problemi. Il costo dei lavori fatti dall’associazione per rendere fruibili gli spazi non vengono riconosciuti dalle istituzioni che comunque chiedono 15.000 euro di utenze. Da allora ad oggi ne rimangono altri: il mancato collegamento alla rete fognaria, 2 pompe sommerse che spesso si intasano allagando le sale prova, i contatori condivisi con altre realtà che impediscono la suddivisione dei costi. I problemi continuano nel 2009 con la comunicazione della messa a bando degli spazi e la possibilità di partecipare solo a fronte del pagamento di un ulteriore debito di 15.000 euro, con prima rata di 9.000. Seguiranno altre incomprensioni con le istituzioni che, come ricostruiscono ancora al vecchio Son, prima stabiliscono un piano di rientro di 203 euro al mese ma poi viene disconosciuto in un incontro successivo in quartiere. Seguiranno altre comunicazioni tra inviti a sospendere la rata, e richieste di procedere come dovuto nel luglio 2018. Intanto però era stata avviata una pratica all’agenzia delle entrate con relativa cartella esattoriale e pignoramento del conto corrente. Oggi nel giugno 2020 l’ultimo atto con le attività ferme per il lockdown e la richiesta di 70.000 euro comprensivi di Tari, affitti e utenze arretrati.

Di fronte a questi numeri e questi fatti io credo che sbaglieremo, in primis come istituzioni, se giudicassimo tutta questa vicenda come una mera questione burocratica e amministrativa. In questi anni il vecchio Son è stato un posto che ha dato spazio a centinaia di realtà giovanili che hanno potuto fare musica, incidere cd e seguire corsi con i costi tuttora tra i più bassi nella nostra città. Un esempio virtuoso di come si concilia cultura e socialità. Ha portato avanti questi scopi in un quartiere pieno di contraddizioni e fragilità sociali. E soprattutto in un’area, come i giardini Parker-Lennon, dove la presenza di una realtà come questa garantisce anche un presidio sociale importante contro quello che chiamiamo degrado. Un impegno che viene testimoniato in questi giorni da decine di attestazioni di solidarietà.

Tutto questo estimonia una realtà che faticheremo a non definire importante in tempi normali, figuriamoci oggi che gli effetti della pandemia si stanno già trasformando in crisi sociale e spazi come questi diventano essenziali per la coesione del nostro territorio. Questo è un principio di equità sociale sul quale abbiamo già saputo dimostrare la più larga convergenza quando abbiamo affrontato problemi analoghi di altre realtà sportive o culturali. In questi giorni nei quali stiamo trattando il bilancio comunale guardando al futuro di Bologna, a come usare bene le risorse per non aumentare le disuguaglianze e prepararci alle nuove difficili sfide sociali ed economiche che ci aspettano, io credo che la politica e le istituzioni debbano saper dimostrare di fare scelte importanti. E quindi salviamo il vecchio Son, lo dobbiamo alla sua storia, all’impegno di questi anni, ma anche al futuro e al bene comune del nostro quartiere e della nostra città

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