L’8 marzo è la giornata internazionale delle donne. Alcuni la chiamano festa, e certamente molte conquiste vanno festeggiate, così come la resilienza delle donne nella continua battaglia per i loro diritti. Ma è anche una giornata di lotta e di denuncia.

Perché l’8 marzo e non solo bisogna parlare anche di femminicidio, in Italia una donna è uccisa ogni 72 ore secondo i dati del 2018.
Perché l’8 marzo, e ogni altro giorno dell’anno bisogna parlare di come gli uomini che ammazzano le donne vengono spesso dipinti come mossi da troppo amore, gelosia, raptus. La violenza non è amore. E le pene non possono essere dimezzate per un raptus o per gelosia, come avvenuto nella recente sentenza della Corte di assise di appello che ha quasi dimezzato, da 30 a 16 anni, la pena per Michele Castaldo, omicida reo confesso di Olga Matei, concedendo le attenuanti generiche perché l’uomo era in preda a una “tempesta emotiva”.
Perché l’8 marzo e ogni altro giorno bisogna parlare di libertà di autodeterminazione, e dei continui attacchi ad essa e alla legge 194. Ricordare come siamo uno dei pochi paesi in cui l’obiezione di coscienza ha raggiunto la media nazionale del 70% di medici obiettori ed è una delle forme di violenza che viene agita ogni giorno contro le donne. In queste statistiche non sono compresi tutti i farmacisti che, illegalmente, si dichiarano obiettori in maniera informale e si rifiutano di vendere la contraccezione d’emergenza.
Perché l’8 marzo e ogni altro giorno bisogna parlare di gap salariale tra gli uomini e le donne, di donne che a parità di titoli di studio e capacità vengono pagate meno o non vengono assunte, di part time obbligati e non scelti dalle donne, di dimissioni in bianco a causa di una gravidanza.
Perché l’8 marzo e ogni altro giorno bisogna parlare di rappresentanza. Di come i dibattiti politici sui quotidiani siano tutti tra uomini. Di come i convegni, gli eventi, siano spesso composti da tutti uomini. Non devo ricordare il convegno sulla maternità previsto in senato in cui a spiegarci come essere madri saranno solo una donna a fronte di 8 relatori uomini e solo 3 donne a fronte di 21 uomini quelle invitate alla tavola rotonda sul tema.
Perché l’8 marzo e ogni altro giorno bisogna parlare di come calare le lotte di classe in una prospettiva intersezionale. Di come far sì che le rivendicazioni femministe siano per il 99% della popolazione.
Anche quest’anno le donne stanno organizzando uno sciopero globale per l’8 marzo. L’anno scorso quello sciopero femminista e militante ha bloccato la Spagna per 24 ore, rivendicando una «società libera dall’oppressione sessista, dallo sfruttamento e dalla violenza».

Anche quest’anno in Italia le femministe di Non Una di Meno hanno indetto lo sciopero femminista globale per l’8 marzo. “Pensiamo che uno sciopero, articolato in vari modi anche inediti, sia lo strumento più potente che consente la sottrazione dal lavoro produttivo e riproduttivo”, affermano nell’appello che lo indice.

Anche quest’anno dobbiamo rivendicare un femminismo per il 99%, che vada alla radice delle disuguaglianze e dello sfruttamento, come dicono Cinzia Arruzza, Nancy Fraser e Tithi Bhattacharya nel loro Manifesto, di cui leggo un estratto e da cui ho preso il titolo per questo intervento

[Scriviamo non per delineare un’utopia immaginaria, ma per segnare la strada che deve essere percorsa per raggiungere una società equa. Ci proponiamo di spiegare perché le femministe dovrebbero prendere la strada degli scioperi femministi, perché dobbiamo unire le forze con altri movimenti anticapitalisti e antisistema, perché il nostro movimento deve diventare un femminismo per il 99%. Solo in questo modo il femminismo può raccogliere le sfide della nostra epoca: collegandosi con i militanti antirazzisti, con gli ambientalisti, con gli attivisti per i diritti dei migranti e dei lavoratori. Rifiutando con decisione il dogma del “farsi avanti” e il femminismo dell’1%, il nostro femminismo può rappresentare una speranza per il resto del mondo.
Quel che ci fornisce oggi il coraggio di imbarcarci in questo progetto è la nuova ondata di mobilitazioni del femminismo militante. Non si tratta del femminismo della donna in carriera che si è dimostrato un disastro per le donne lavoratrici e ormai sta perdendo credibilità, né del “femminismo del microcredito” che pretende di fornire “empowerment”alle donne del Sud del mondo prestando loro minuscole somme di denaro. Quel che ci dà speranza sono piuttosto gli scioperi femministi internazionali del 2017 e del 2018. Sono questi scioperi – e i movimenti sempre più coordinati in crescita attorno a essi – che hanno prima ispirato e poi dato forma concreta a un femminismo per il 99%.

tratto da Femminismo per il 99%. Un manifesto, Laterza, 2019

Buon 8 marzo, speriamo che sia un “Lotto Marzo”, e di vedervi tutte e tutti in piazza.

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